lunedì 11 marzo 2013


Leibniz

Vita e opere

Goffredo Leibniz nacque a Lipsia nel 1646, da un professore di quella Università.
Fu in gran parte un autodidatta: studiò nella ricchissima biblioteca paterna, rivelando tendenza in tutti i campi dello scibile (lettere, filosofia, scienze).
Nel 1672 incominciò a viaggiare: fu in Francia, dove entrò in contatto con quei circoli cartesiani; in Inghilterra e in Olanda, dove lesse l’Etica ancor manoscritta di Spinoza.
Nel 1676, ritornato in Germania, fu dal Duca di Brunswick nominato bibliotecario ad Hannover, e incaricato di scrivee la storia della propria casa.
Riprese perciò a viaggiare, al fine di raccogliere il materiale necessario, e fu per parecchi anni in Germania e in Italia.
Nel 1690, ritornato nuovamente in Germania, si dedicò completamente alla sua attività di pensatore e di scienziato; e da quell’epoca fino alla morte non cessò di produrre in modo prodigioso.
Morì ad Hannover nel 1716.
Leibniz fu di un’attività multiforme: scoprì, contemporaneamente a Newton, il calcolo infinitesimale; concepì il disegno di una lingua filosofica universale; fondò l’Accademia delle scienze di Berlino, e contribuì alla fondazione di quelle di Vienna, di Dresda, di Pietroburgo.

Pensiero

Leibniz tenta di conciliare i due indirizzi fondamentali della filosofia moderna, il razionalismo con l’empirismo, mediante la sua teoria della monade.
La monade
1. LA MONADE COME REALTA’ INESTESA E ATTIVITA’
La realtà, secondo Leibniz, non è formata da due sostanze, come voleva Cartesio; e neppure di una sostanza sola, come voleva Spinoza; ma da infinite sostanze di natura spirituale, cui egli da brunianamente il nome di monadi (dal greco monas, unità).
Infatti, sempre secondo Leibniz, la materia come estensione (res extensa) non esiste: se noi consideriamo un corpo materiale, e procediamo su di esso per divisioni e suddivisioni, dovremo fermarci a degli elementi primi, indivisibili o semplici, e quindi inesistenti, immateriali, spirituali(monadi).
Tali monadi, oltre ad essere inestese, sono non passive, ma attive: come è dimostrato dalla resistenza che oppongono i corpi, e che si manifesta sotto la duplice forma della resistenza come inerzia e resistenza come impenetrabilità.
Si tratta di un’attività analoga a quella dell’anima umana, perchè l’anima umana è l’unica cosa che noi conosciamo inestesa ed attiva, e quindi nella sua essenza simile alle altre monadi: percezione, o potere che la monade ha di rappresentare e pensare le cose esterne (ogni monade è uno “specchio vivo” dell’universo); e appetizione, o tendenza di passare da percezioni confuse ed oscure a percezioni chiare e distinte (appercezioni).
Concludendo: la materia e nella sua essenza una realtà inestesa ed attiva, mentre ai sensi appare come una realtà estesa e passiva.
2. LA GERARCHIA DELLE MONADI: DIO
Ogni monade differisce da tutte le altre a seconda del suo grado di perfezione, cioè a seconda del grado di chiarezza e distinzione delle sue percezioni.
Si ottiene in tal modo una gerarchia delle monadi, che dalla materia inanimata sale fino a Dio, monade suprema.
Abbiamo complessivamente tre grandi categorie di monadi:
monadi materiali, che compongono la materia bruta, in cui la percezione è ancora confusa ed oscura, e l’appetizione è semplice forza naturale.
monadi animali, che compongono gli animali, in cui la percezione è progredita fino a diventare memoria, e l’appetizione è diventata istinto.
monadi razionali, consistenti nelle anime umane ed angeliche, in cui la percezione è progredita fino a diventare appercezione o coscienza di percepire, e l’appetizione e diventata volontà o coscienza di appetire.
Monade suprema è Dio, il quale, è assoluta appercezione e assoluta volontà, cioè sapienza, potenza e amore.
Dell’esistenza di Dio, Leibniz fornisce tre prove:
  1. prova a contingentia mundi, fondata sul principio di ragione sufficiente, il quale ci riconduce a trovare la ragione sufficiente ed ultima di tutte le cose in una sostanza non contingente e necessaria.
  2. prova delle essenze, fondata sul motivo che senza Dio non soltanto non ci sarebbe nulla di esistente, ma non vi sarebbe neppure nulla di possibile.
  3. prova ontologica (cfr. già S. Anselmo d’Aosta), fondata sul motivo che l’essenza di Dio implica l’esistenza.
Le monadi sono prodotte da Dio mediante “fulgurazioni” continue; e sono indistruttibili, perchè non vi è ragione che Dio abbia a distruggerle, quasi per un pentimento di ciò che prima ha creato.
Le monadi sono quindi immortali; e immortale è il mondo che di esse consiste.


Hobbes

Hobbes distingue due forme di conoscenza: la "conoscenza comune", fondata sull'esperienza sensibile, in cui il linguaggio svolge la funzione più importante (chiamata anche "conoscenza fattuale" perché rivela come di fatto è la realtà) e la "conoscenza originaria", che è alla base di tutte le altre conoscenze. La "conoscenza scientifica", o "filosofica", deriva dalla conoscenza comune e ne è la rielaborazione (per questo viene chiamata anche "conoscenza derivata"). Ciò che differenzia la conoscenza filosofica dalla suddetta è che non si limita a conoscere la realtà di fatto, ma si propone anche di spiegarne le cause.
La conoscenza comune si fonda sulle immagini dei singoli corpi generate dall'interazione tra le nostre sensazioni e le qualità geometrico-meccaniche dei corpi, conservate nella memoria, sulla base delle quali l'uomo modella le sue azioni; l'associazione e la disposizione costante delle immagini ci permette di trarre previsioni utili, anche se la debolezza della memoria limita le nostre capacità di previsione. L'immaginazione è la capacità di formarsi delle immagini degli oggetti esterni, anche quando tali oggetti non impressionano più i nostri organi di senso. L'immaginazione, in sostanza, trova riscontro nelle sensazioni già sperimentate, che persistono nel nostro cervello come una sorta di traccia o cicatrice.

Lo scopo della conoscenza

Sia la conoscenza originaria che quella derivata hanno come scopo quello di permettere utili previsioni nella realtà; la conoscenza filosofica è tuttavia più efficace poiché si tratta di una conoscenza rigorosa degli effetti in base alle cause, o delle cause in base agli effetti. Ciò che Hobbes intende per conoscenza di un «effetto attraverso la causa generatrice» si spiega con un esempio: osservando una figura piana simile ad un cerchio, sulla base della sua immagine sensibile (conoscenza originaria) non si può determinare se essa sia un cerchio od un'altra figura molto simile ad esso; il dubbio non ha luogo, invece, se conosciamo quella figura attraverso la causa o generazione (conoscenza derivata o scientifica), ciò se sappiamo che la figura apparentemente circolare è stata generata dalla rotazione di un corpo intorno a uno dei suoi estremi: infatti, da una tale generazione, non può che nascere un cerchio.
La filosofia deve quindi sostituire il sapere originario incerto con uno più stabile. Per Hobbes le popolazioni dell'America e dell'Africa godono di un minor benessere proprio perché non hanno la filosofia, strumento per raggiungere vantaggi pratici.
Tutta la filosofia di Hobbes si basa su un'ontologia deterministica e materialistica. La conoscenza si distingue in:
- "conoscenza comune", detta anche "originaria" o "fattuale", che è quella fondata sull'esperienza sensibile
- "conoscenza scientifica" o "filosofica", che ha come fondamento la conoscenza comune, della quale rappresenta una complessa rielaborazione e riorganizzazione.
Nella conoscenza comune il linguaggio svolge una funzione decisiva: per Hobbes i "nomi" sono solo degli accordi impliciti tra gruppi di parlanti per raccogliere idee individuali delle cose percepite in classi dotate di una certa generalità, e ad essi non corrisponde alcunché di reale, né esistono concetti universali. Il filosofo inglese afferma la necessità di una convenzione fra i dotti per stabilire la conoscenza «degli effetti attraverso le cause»: per far ciò, occorrono rigorose definizioni base della filosofia. Hobbes assume come modello la geometria, per l'univocità dei significati delle sue definizioni.

Locke

Analisi dei vari tipi di idee


lunedì 10 dicembre 2012

Identità


Spesso noi adolescenti ci facciamo tutti la stessa domanda: chi sono io?
Ce lo chiediamo nei momenti di profonda crisi d' identità, i quali avvengono spesso.
Un giorno ci sentiamo forti come leoni, capaci di fare tutto quello che vogliamo, essere in grado di superare gli ostacoli della vita senza l'aiuto di nessuno. E un altro giorno ci sentiamo le persone più perse del mondo: o per la perdita di qualcuno a noi caro, o per un litigio con una persona importante, o per la convivenza con un corpo diverso da quello che vorremmo.
Quando si cresce, ci viene svelato il mondo così com'è: le persone devono sapersi arrangiare in qualsiasi situazione. Bisogna adattarsi, bisogna sopravvivere, in un mondo falso e opportunista. 
E quindi noi, da un momento all'altro, siamo obbligati a dover cambiare noi stessi per adattarci al mondo esterno, alla società. Una società in cui un adolescente deve avere delle particolari caratteristiche per poter essere accettato. Ma è veramente dalla società che deve essere accettato o da sé stesso?
La prima cosa a cui si pensa durante l'adolescenza è l'aspetto esteriore. Se un ragazzo o una ragazza fanno parte di un determinato gruppo, lui/lei devono adattarsi alle sue regole. Sono rari i gruppi composti da persone vere. Sono tutti convinti che l'unica cosa che conti sia fare parte del gruppo e basta. Perché se si appare da soli, la società ti esclude a prescindere dal tuo carattere. Sei da solo? Sei uno sfigato. Sei diverso? Sei da escludere.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? Perché il nostro problema è diventato l'apparenza?
In realtà non lo è diventato in questo decennio.
Lo stesso problema se lo ponevano gli antichi: Chi siamo? E' tutta apparenza? Qual è la realtà?
Sono tutte domande soggettive, che cambiano anche più volte per un solo individuo.
Non esiste una verità, non esiste solo un giusto modo di vivere, non esiste un'entità superiore che controlla il nostro mondo.
Siamo noi a fare le scelte. Il problema è se sono giuste o sbagliate. Gli altri ci possono condizionare, ma solo noi dovremmo decidere e giudicare, perché sono proprio le nostre scelte a definire chi siamo noi. Possiamo sbagliare, soffrire e far soffrire, ma l'importante è agire con la propria testa, seguendo l'istinto e il cuore.